Forum dei Mediterranei di Avalon

Questo forum fa riferimento all'ambientazione Fantasy: www.isoladiavalon.net

N.B. Nomi e riferimenti usati in questo forum sono frutto di pura fantasia e si riferiscono al gioco in oggetto.

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Ultimo Aggiornamento: 23/04/2013 19:15
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31/05/2012 02:04
 
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Per chi volesse presentarsi ai propri fratelli e sorelle
Comincio io.
Mi chiamo Uinen, e sono figlio di Sulem.
Nacqui nella parte meridionale della penisola Italica trent’anni fa, nella Terra Laboris.
Mia madre morì di parto per mettermi alla luce, e non vidi altro che compagnie di ventura nei miei giorni di fanciullo. Perché mio padre Sulem era un capitano, non uno di nobili origini, ma un mercenario col sogno di una Signoria tutta sua. Se lo prese la Guerra, quando avevo nove anni.
Seppur mi nomassero tutti Lodovico da quando ricordassi, da quel giorno pretesi con tutta la caparbia testardaggine del ragazzo l’appellativo di Uinen, il nome con cui mi aveva chiamato una vecchia zingara in cerca di monete, alle porte di un villaggio. “Un giorno te ne servirà uno nuovo” mi aveva detto.
Ed io decisi che era quello il giorno; la compagnia acconsentì tacitamente, anche perché eravamo tutti sconvolti e c’erano questioni assai urgenti da sbrigare.
Sulem sulla strada della ricerca di ricchezza e potere era stato sempre attento ai fini politici, e senza la sua guida, i contatti e la fiducia di cui godeva verso i potenti, noi, per lo più rozzi e individualisti, perdemmo quella in noi stessi, insieme allo spirito di corpo che Lui ci aveva infuso. Ci sciogliemmo, andando ad ingrossare le fila di altre compagnie.
Prima della sua morte ne fui per anni scudiero, mentre venivo addestrato a cavalcare e ricevevo i primi rudimenti della lotta.
Poi venne l’addestramento con la spada.
Imparai che la scherma necessita di prudenza, pazienza e strategia, che la foga le è nemica e quando monta va incanalata nella giusta direzione, per evitare di esserne a propria volta consumati.
Fin quando fui reputato pronto e grande abbastanza per farmi ammazzare. Quel giorno mi venne triplicata la paga.
Negli anni che seguirono non smisi mai di combattere. Che il nemico fosse Saraceno o Bizantino non faceva alcuna differenza, come combattere al fianco dei Normanni a difesa delle città costiere o proteggere dietro compenso i pellegrini: andavamo ovunque venissimo ingaggiati.
Per avventura non occorsi in menomazioni evidenti del corpo. Mi provocai però diverse cicatrici di spada sulle braccia ed una sulla guancia sinistra di circa tre centimetri, nonché una sulla metà destra dell’addome causata da un dardo di balestra che mi perforò il corpetto in una schermaglia d'avanguardia. In vero, non indossavo mai armature pesanti. L’estrema mobilità era la nostra caratteristica distintiva, e non di rado venivamo utilizzati per tendere imboscate al nemico.
Conobbi la crudeltà e la ferocia degli uomini, il valore di un compagno fidato al mio fianco, la paura e la pietà, il coraggio e la compassione, l’adrenalina che ti raddoppia le forze, l’esaltazione della battaglia ed il più acuto dolore della perdita.
Vidi morire, ammalarsi, accecare o storpiare quasi tutti coloro con cui ero cresciuto.
Un giorno, poi, al campo si diffuse il morbo della peste. Per sfuggire al contagio, presi il mio cavallo berbero e vi caricai in groppa tutto ciò che non avevo ancora perduto ai dadi.
Non avevo famiglia né legami. Così presi a vagare senza posa, lasciando la penisola e dirigendomi verso la Francia.
Ivi giunto vendetti il cavallo nei pressi di un porticciolo, barattandolo con una traversata fino alla Britannia su una nave mercantile.
Giunsi ad Avalon e fui accolto sull'isola dai Cavalieri dei Draghi, la congrega cui appartengo.
Indegnamente, ricopro il ruolo di Console Legatus del nostro Clan, insieme a lady Dodaiux, colei che è Rettore degli Ospitalieri.

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21/02/2013 16:30
 
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mi presento anche iu :D
Il mio nome è Hellenia Caecilia de Veri.
Mi è stato dato dal mio tutore, Massimo, fratello minore di Mio padre, morto in battaglia nelle terre Britanniche, per proteggermi.
L'antico popolo mi chiamava Adraste, e alla nascita fui consacrata a Cerridwen, di essi porto i simboli nel segno del Drago azzurro che ho tatuato lungo la schiena.
Così disse mio fratello gemello Craudon ritrovato ad Avalon dopo 16 anni.
La nostra nascita, segnò la parola fine tra due mondi marcando il confine tra britannia e impero Romano, Ma anche la nostra separazione. Lui è rimasto in britannia, io li sono morta per rinascere a Roma.
Il mio sangue è misto, ma l'appartenenza alle terre italiche è talmente forte da essere mediterranea a tutti gli effetti. Solo su Avalon ho appreso l'altra parte della storia della mia vita.
Ho trascorso un infanzia triste e segnata dalla prigionia, porto ancora su di me i segni e le cicatrici delle catene,tra le spire del drago che ho sulla pelle, ma parte dell'adolescenza ha i miei più bei ricordi, tra viaggi lungo le isole Greche e il deserto del Magreb, e avventure sotto il cielo azzurro che si riflette nelle acque cristalline del mare Mediterraneo, in mezzo a un esercito itinerante e sempre in marcia, al fianco del mio tutore, generale della legione del Drago.
Sono cresciuta in una famiglia tradizionale, fortemente legata ai valori della cavalleria, una stirpe di guerrieri, che ancora abbraccia gli antichi culti dei loro avi, rinnegando la sempre più prepotente egemonia ecclesiastica (causa della mia prigionia). Cerere e Nemesis ci guidano da anni, e guai se non fosse così lo spirito dei Lares infonde coraggio per onorare sempre gli avi.
SI VIS PACEM PARA BELLUM (se vuoi la pace preparati alla guerra)
Un guerriero romano sorride di rimando davanti alla morte, danza sul fuoco della vita, in battaglia deve mostrare coraggio e non deve mai mostrare al nemico la paura, deve essere sempre pronto a discendere nei campi Elisi consapevole di poter non riuscire a far ritorno dalla battaglia. La spada è la sua unica compagna, lo scudo la sua protezione.
Parole che mi vennero insegnate come se fossero state marchiate a fuoco nella mia anima. Parole che non dimentico nemmeno ora, che mi ritrovo a miglia e miglia di distanza da casa.
Parole che mi hanno portato ad essere ciò che sono un guerriero di Luce, un Cavaliere Bianco di Avalon.
La mia storia ad Avalon è segnata da tanti avvenimenti, da tante battaglie. Alcuni dolorosi, come la morte di mio Marito Yoroitzu, la partenza di mio figlio verso le mie terre, altri gioiosi, come il ritrovo di Craudon, e Reylhan, e i momenti di spensieratezza e allegria in comunione con i miei fratelli e amici.
Vivere ardendo e non bruciarsi mai, è la mia filosofia di vita.
Non bisogna mai rinnegare ciò che si è e io sono questo sangue e fuoco.

Hellenia
Cavaliere Bianco di Avalon


// aggiungo anche: fuori di testa, folle, si ficca sempre nei guaiacci, curiosa come una scimmia, si ubriaca da filippa a forza di sidro e birra, sfida mannari e nani in bettola a colpi di birrate, paladina delle fate, salva gli gnomi dai guai in cui si cacciano per poi ficcarcisi lei abbracciando la loro croce e ubriacandoli in seguito, litiga coi mezzelfacci acidi e adora i coccodrilli albini in magione, [SM=g6436] a cui da da mangiare di nascosto..
folli sempre folli fortissimamente folli... [SM=g6392] [SM=g6392] [SM=g6392]








http://i49.freeforumzone.it/tinypic/1z1w5dd.jpg




.. abbiamo il codice dei cavalieri -non vedi- piuttosto scleri ma sempre sinceri mylady.. W Ken Shiro e Giuliano il gatto di kiss me Licia..
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23/03/2013 09:51
 
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continuo io...

Ci fu un tempo in cui le cose andavano disordinatamente, una carestia terribile, che da molti anni infieriva nella maggior parte dell'Occidente, aveva scatenato ogni sorta di brigantaggi, e questi, flagello dell'agricoltura e del commercio, aumentavano ancora gli orrori della carestia. Molti villaggi, e perfino alcune città, erano stati abbandonati e cadevano in rovina. I popoli, dunque abbandonavano senza dispiacere una terra che non riusciva più a nutrirli e non offriva riposo nè sicurezza. Famiglie e villaggi interi partirono per la Palestina, portando con sè provviste, utensili, mobilia. I miei genitori, Guillaume Merghelinck e Anke Hendrik, lasciarono Gent, cittadina ubicata nelle Fiandre orientali, in un ingorgo di carriaggi, di sacchi e di barili e raggiunsero i territori d'oltremare con i loro dubbi, le loro speranze, e i loro disagi. Essi si stabilirono a San Giovanni d'Acri, dove venni alla luce e mi diedero il battesimo con il nome di Larth Christiano. Vivevamo in una zona periferica per la sola ragione che lì le case sono a buon mercato, e considerando pure l'onere delle tasse, esse costano comunque poco. Con noi viveva un'altra donna: una congiunta materna che collaborava in cucina e nei duri mestieri di casa. Si chiamava Tanja, era alta e secca, dagli occhi neri, un po' mascolina, e a causa della vedovanza vestiva rigorosamente a lutto. Avendo perduto il marito milite, durante una scaramuccia, i miei le offrirono ospitalità. Mio padre, un gentiluomo di bell'aspetto, dal piglio militaresco di stampo antico, riuscì ad ottenere non senza difficoltà un impiego come addetto alla fortificazione della città. Non parlavamo molto, e fra noi era cresciuto un silenzio che a tratti si lasciava immaginare come una complicità muta e profonda; a volte, invece, si svelava come una sterminata distanza, un deserto dentro il quale non cresceva nulla, neanche un sorriso. Delle tante incertezze che incarnandosi nella mia vita le hanno dato forma, una sola mi fu risparmiata, e su essa non dovetti mai interrogarmi: l'amore di mia madre. La devozione, la passione tenera con cui si prendeva cura di me, furono tali che non dubitai di me stesso e della infallibile bellezza della mia sorte. Tolto il tempo che trascorrevo a leggere o a scrivere presso mio padre, e quello in cui Tanja mi conduceva a passeggio, stavo sempre con lei a guardarla ricamare, a sentirla cantare, seduto o in piedi accanto a lei, ed ero contento. La sua gaiezza, la sua dolcezza, la sua piacevole fisionomia, mi lasciarono impressioni così profonde che ne vedo ancora l'espressione, lo sguardo, l'atteggiamento. Da fanciullo i miei interessi spaziavano dalla storia antica alle culture orientali ma non avendo modo di approfondirli e anche in conseguenza delle forti tensioni esistenti in famiglia, fuggii di casa e mi arruolai in una compagnia di ventura, costituita da uomini d'arme europei, spesso protagonista di azioni audaci e spericolate, atte a sconvolgere e depistare del tutto le manovre del nemico. Eravamo affezionati gli uni agli altri, per l'ampio respiro degli spazi aperti, per il gusto del vento impetuoso, la luce del sole, le speranze per le quali ci battevamo. La freschezza mattutina del mondo a venire ci intossicava. Eravamo sollecitati da idee inesprimibili e inconsistenti, ma degne di essere difese con le armi. Ebbi modo, così, di addestrare il mio fisico alla resistenza più dura, al dolore e alla fatica.Imparai a uccidere. Quando un ragazzo di 17 anni si impossessa della sorte altrui non vi sono lezioni per il mondo o rivelazioni per scuotere gli uomini, ma solo azioni vertiginose, senza mai risparmiare forze, solo il desiderio di combattere per un cielo nuovo e una terra nuova, ignaro, disgraziatamente, del prezzo troppo alto da pagare, in onore e in vite umane. Così, per lunghi periodi, ho vissuto nel nudo deserto, sotto il cielo indifferente. Di giorno, l'ardore del sole mi bruciava, ed ero stordito dal vento continuo. Di notte, mi inzuppava la rugiada, e gli innumerevoli silenzi delle stelle mi inducevano a vergognarmi della mia piccolezza. Eravamo un pugno di uomini consacrato alla libertà, uno scopo così tirannico da consumare tutta la nostra forza, una speranza tanto trascendente da assorbire nel proprio splendore tutte le nostre ambizioni precedenti. Caddi nel corso di una sortita a scopo di razzia durante la quale i miei compagni si sforzarono di conquistare un accampamento mal difeso. Un giavellotto mi colpì di striscio e caddi colla testa contro una pietra. Ebbi il tempo di sentire l'urto e nulla più. Passai solo una notte in una delle tende variopinte. L'indomani fui subito trasferito, senza riguardi in una cella buia e fetida, prospiciente il cortile di una casa abbandonata, munita di sbarre e robusti catenacci. Non v'era nulla di più sporco di quel luogo di detenzione. La notte trascorsa nella segreta era stata sufficiente per infestarmi di pidocchi e mi ci vollero diversi giorni a sbarazzarmene. Nondimeno, la paura di essere torturato non mi abbandonava obbligandomi a raffrenare un soprassalto ogni volta che si apriva la porta. Fu durante una di queste visite che decisi di colpire il mio secondino e uscir presto da quell'inferno. Con le palpebre improvvisamente tremanti, e rapidamente, con gesto furtivo mi chinai e così, flesso, procedetti in direzione di una scuderia, mi appropriai di un puledro e lo scalciai sul ventre affinchè galoppasse e mi conducesse distante. Finalmente in un'alba fredda raggiunsi il porto della mia città natia, e vidi conciliaboli di marinai accanto a un battello di servizio. Chiamai a voce bassa uno di questi che, esitante, mi mise al corrente della meta di arrivo. La speranza mirava lontano come una vela e mi proposi come giovane mozzo in cambio di un pasto tiepido e un giaciglio dignitoso. La camera sbandava; le cinghie della branda cigolavano come fossero ormeggi; il letto scivolava da occidente ad oriente, inversamente al moto apparente del cielo. Misericordia volle che, dopo cinquantacinque giorni di navigazione, l'imbarcazione raggiunse lo scalo veneziano, in Italia. Mi mancavano le forze per procedere oltre, supponendo che vi fosse una strada da imboccare. Non sapevo come procedere a causa del perire del mio istinto. Esausto mi accasciai contro il muro di un deposito e presi sonno. Non so con precisione per quanto tempo rimasi li, mi rialzai tutto assorto, la pioggia cadeva a raffiche e lesto mi diressi a Nord. Viaggiai notevolmente, e dopo svariati anni giunsi su un'isola avviluppata dalle brume...

Attualmente risiedo a Barrington

Larth



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23/04/2013 19:15
 
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Hellenia e Larth,
siamo onorati di vedere che avete accolto il nostro invito.
Aiutateci a tener viva la fiamma.
Il nostro mare contiene tutti i più arditi sogni del mondo.
Uinen
Consul Legatus del clan Mediterraneo
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