Forum dei Mediterranei di Avalon

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Ultimo Aggiornamento: 23/04/2013 19:15
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23/03/2013 09:51
 
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continuo io...

Ci fu un tempo in cui le cose andavano disordinatamente, una carestia terribile, che da molti anni infieriva nella maggior parte dell'Occidente, aveva scatenato ogni sorta di brigantaggi, e questi, flagello dell'agricoltura e del commercio, aumentavano ancora gli orrori della carestia. Molti villaggi, e perfino alcune città, erano stati abbandonati e cadevano in rovina. I popoli, dunque abbandonavano senza dispiacere una terra che non riusciva più a nutrirli e non offriva riposo nè sicurezza. Famiglie e villaggi interi partirono per la Palestina, portando con sè provviste, utensili, mobilia. I miei genitori, Guillaume Merghelinck e Anke Hendrik, lasciarono Gent, cittadina ubicata nelle Fiandre orientali, in un ingorgo di carriaggi, di sacchi e di barili e raggiunsero i territori d'oltremare con i loro dubbi, le loro speranze, e i loro disagi. Essi si stabilirono a San Giovanni d'Acri, dove venni alla luce e mi diedero il battesimo con il nome di Larth Christiano. Vivevamo in una zona periferica per la sola ragione che lì le case sono a buon mercato, e considerando pure l'onere delle tasse, esse costano comunque poco. Con noi viveva un'altra donna: una congiunta materna che collaborava in cucina e nei duri mestieri di casa. Si chiamava Tanja, era alta e secca, dagli occhi neri, un po' mascolina, e a causa della vedovanza vestiva rigorosamente a lutto. Avendo perduto il marito milite, durante una scaramuccia, i miei le offrirono ospitalità. Mio padre, un gentiluomo di bell'aspetto, dal piglio militaresco di stampo antico, riuscì ad ottenere non senza difficoltà un impiego come addetto alla fortificazione della città. Non parlavamo molto, e fra noi era cresciuto un silenzio che a tratti si lasciava immaginare come una complicità muta e profonda; a volte, invece, si svelava come una sterminata distanza, un deserto dentro il quale non cresceva nulla, neanche un sorriso. Delle tante incertezze che incarnandosi nella mia vita le hanno dato forma, una sola mi fu risparmiata, e su essa non dovetti mai interrogarmi: l'amore di mia madre. La devozione, la passione tenera con cui si prendeva cura di me, furono tali che non dubitai di me stesso e della infallibile bellezza della mia sorte. Tolto il tempo che trascorrevo a leggere o a scrivere presso mio padre, e quello in cui Tanja mi conduceva a passeggio, stavo sempre con lei a guardarla ricamare, a sentirla cantare, seduto o in piedi accanto a lei, ed ero contento. La sua gaiezza, la sua dolcezza, la sua piacevole fisionomia, mi lasciarono impressioni così profonde che ne vedo ancora l'espressione, lo sguardo, l'atteggiamento. Da fanciullo i miei interessi spaziavano dalla storia antica alle culture orientali ma non avendo modo di approfondirli e anche in conseguenza delle forti tensioni esistenti in famiglia, fuggii di casa e mi arruolai in una compagnia di ventura, costituita da uomini d'arme europei, spesso protagonista di azioni audaci e spericolate, atte a sconvolgere e depistare del tutto le manovre del nemico. Eravamo affezionati gli uni agli altri, per l'ampio respiro degli spazi aperti, per il gusto del vento impetuoso, la luce del sole, le speranze per le quali ci battevamo. La freschezza mattutina del mondo a venire ci intossicava. Eravamo sollecitati da idee inesprimibili e inconsistenti, ma degne di essere difese con le armi. Ebbi modo, così, di addestrare il mio fisico alla resistenza più dura, al dolore e alla fatica.Imparai a uccidere. Quando un ragazzo di 17 anni si impossessa della sorte altrui non vi sono lezioni per il mondo o rivelazioni per scuotere gli uomini, ma solo azioni vertiginose, senza mai risparmiare forze, solo il desiderio di combattere per un cielo nuovo e una terra nuova, ignaro, disgraziatamente, del prezzo troppo alto da pagare, in onore e in vite umane. Così, per lunghi periodi, ho vissuto nel nudo deserto, sotto il cielo indifferente. Di giorno, l'ardore del sole mi bruciava, ed ero stordito dal vento continuo. Di notte, mi inzuppava la rugiada, e gli innumerevoli silenzi delle stelle mi inducevano a vergognarmi della mia piccolezza. Eravamo un pugno di uomini consacrato alla libertà, uno scopo così tirannico da consumare tutta la nostra forza, una speranza tanto trascendente da assorbire nel proprio splendore tutte le nostre ambizioni precedenti. Caddi nel corso di una sortita a scopo di razzia durante la quale i miei compagni si sforzarono di conquistare un accampamento mal difeso. Un giavellotto mi colpì di striscio e caddi colla testa contro una pietra. Ebbi il tempo di sentire l'urto e nulla più. Passai solo una notte in una delle tende variopinte. L'indomani fui subito trasferito, senza riguardi in una cella buia e fetida, prospiciente il cortile di una casa abbandonata, munita di sbarre e robusti catenacci. Non v'era nulla di più sporco di quel luogo di detenzione. La notte trascorsa nella segreta era stata sufficiente per infestarmi di pidocchi e mi ci vollero diversi giorni a sbarazzarmene. Nondimeno, la paura di essere torturato non mi abbandonava obbligandomi a raffrenare un soprassalto ogni volta che si apriva la porta. Fu durante una di queste visite che decisi di colpire il mio secondino e uscir presto da quell'inferno. Con le palpebre improvvisamente tremanti, e rapidamente, con gesto furtivo mi chinai e così, flesso, procedetti in direzione di una scuderia, mi appropriai di un puledro e lo scalciai sul ventre affinchè galoppasse e mi conducesse distante. Finalmente in un'alba fredda raggiunsi il porto della mia città natia, e vidi conciliaboli di marinai accanto a un battello di servizio. Chiamai a voce bassa uno di questi che, esitante, mi mise al corrente della meta di arrivo. La speranza mirava lontano come una vela e mi proposi come giovane mozzo in cambio di un pasto tiepido e un giaciglio dignitoso. La camera sbandava; le cinghie della branda cigolavano come fossero ormeggi; il letto scivolava da occidente ad oriente, inversamente al moto apparente del cielo. Misericordia volle che, dopo cinquantacinque giorni di navigazione, l'imbarcazione raggiunse lo scalo veneziano, in Italia. Mi mancavano le forze per procedere oltre, supponendo che vi fosse una strada da imboccare. Non sapevo come procedere a causa del perire del mio istinto. Esausto mi accasciai contro il muro di un deposito e presi sonno. Non so con precisione per quanto tempo rimasi li, mi rialzai tutto assorto, la pioggia cadeva a raffiche e lesto mi diressi a Nord. Viaggiai notevolmente, e dopo svariati anni giunsi su un'isola avviluppata dalle brume...

Attualmente risiedo a Barrington

Larth



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